L’ultimo concerto della rassegna di Piano Jazz 2022 apre idealmente una nuova stagione musicale di Controtempo che si preannuncia del tutto memorabile. Nell’attesa, il pubblico della Fazioli Concert Hall ha potuto godere appieno della straordinaria arte di David Helbock, versatile pianista austriaco proiettato sui palcoscenici internazionali.

Parafrasare Nietsche, come si è fatto nel titolo di questa recensione, è il modo migliore per cercare di comprendere l’arte sottile e originale che Helbock esprime attraverso i suoi polpastrelli.

Ma prima una piccola digressione sulle opere d’arte che il magnifico ospite della manifestazione crea con tanta cura. Nel prezioso catalogo dei pianoforti Fazioli si fanno ammirare i magnifici strumenti a coda e da concerto che splendono di luce propria nelle più prestigiose sale da concerto del pianeta; dal sontuoso F308, lungo oltre tre metri, vera e propria astronave stellare della musica, al gioiellino di casa che arriva giusto alla metà, conservando naturalmente il carattere e la brillantezza che contraddistingue e rende unici gli oggetti d’arte dell’Ing. Paolo Fazioli.

Questi ultimi di foggia classica che s’ispirano alle geniali intuizioni di Bartolomeo Cristofori (1655-1731) vivono di perfezione artigianale, grande amore per la musica e un cuore risonante che respira delle essenze arboree della val di Fiemme.

Tra i modelli della casa sacilese spiccano anche quelli del tutto innovativi, futuribili e perfino artisticamente estrosi che sposano l’assoluta cura delle meccaniche ad un design modernissimo che li trasforma in autentiche sculture sonore, opere d’arte tecnologicamente raffinatissime e davvero uniche.

Due modelli su tutti: il Kengo Kuma e The Butterfly entrambi creati in modo esclusivo per essere inseriti negli spazi architettonici di Westbank della Big Thom Architects in Alberni Street a Vancouver. Alla perfezione tecnica del piano armonico, della pedaliera e delle meccaniche si uniscono forme estrose e immaginifiche che rendono questi oggetti d’arte sogni di assoluta concretezza.

I due pianisti che Controtempo ha scelto per la Fazioli Concert Hall sembrano incarnare queste due anime della Firma sacilese. Il primo è stato Fred Hersch di cui abbiamo dato conto in questa stessa rivista, dal tocco lieve e leggero che suona quasi in trance accordi che sembrano venire da un altro pianeta più puro e più giusto del nostro; a chiudere la manifestazione, invece, Hellbock dall’energia e dall’irruenza materica e ruvida che in certi momenti è sembrata proprio esplodere come un magma di furia creativa. Due prospettive completamente diverse che però si sono incontrate nell’estasi di un orizzonte musicale che chiamiamo ancora jazz solo per comodità e semplificazione.

Il concerto di Helbock è iniziato in modo drammatico e percussivo con una sua interpretazione del secondo movimento della VII sinfonia di L.W. Beethoven venato di Jazz come in un melò francese degli anni ‘50 ed è sembrato già tutto “cinematografo”. Un’esecuzione calibrata sui toni gravi con un gran lavoro di mano sinistra e con l’altra che supera raramente la parte mediana della tastiera.

Dopo questo preludio in grande stile, gran parte del concerto è dedicato alle musiche di John Williams, storico compositore delle colonne sonore di Steven Spielberg e tanti altri, ormai giustamente acclamato universalmente come uno dei più importanti compositori e direttori d’orchestra del pianeta.

La brillantezza del suono Fazioli è smorzata artatamente da una sciarpa di lana del pianista posta sulle corde allo scopo di attenuarne la lucidità, rendendo i suoni quasi cupi e in chiaroscuro anche quando i motivi sembrano farsi più lieti, più veloci e ritmati. E’ una tessitura sonora complessa e stratificata con un tocco energico e sempre vigoroso.

Il secondo brano infatti è stato il tema originale della colonna sonora di E.T. di Spielberg, un film che ha fatto epoca anche per le meravigliose note di Williams che hanno saputo creare un immaginario sonoro unico, ormai diventato collettivo. Proprio Spielberg parlando di questo tema e di molti altri creati dal compositore, disse: “Senza John Williams le bici non potrebbero volare realmente, e nemmeno le scope nella partita a Quidditch…Non ci sarebbe la Forza, i dinosauri non camminerebbero, non ci meraviglieremmo, non piangeremmo, non ci crederemmo affatto.” Hellbock con grande maestria riesce ad evocare la profondità di quel sogno e anche al pubblico è sembrato ad un certo punto di vedere quei ragazzini sulle loro biciclette pedalare verso la luna con il bambino di un altro mondo nel cestello.

Williams, riguardo a quell’esperienza disse: “Quello di creare musica e utilizzarla per esprimere le nostre emozioni è un bisogno umano basilare che riguarda la sfera non verbale. Non contano il linguaggio corporeo o altre articolazioni linguistiche ma solamente l’assoluto spirituale.” E’ stato proprio questo l’intento di Helbock e lo si è avvertito chiaramente.

Si è poi passati all’esecuzione di un brano da “Salvate il soldato Ryan”, il celeberrimo “Hymn to the Fallen” l’inno ai migliaia di caduti sulla spiaggia di Omaha Beach durante lo sbarco in Normandia immortalato dalle iconiche immagini di Robert Capa (solo 11 sopravvissero delle 106 scattate) che sono servite a Spielberg per riprodurre quell’orrore e a Williams per farlo rivivere attraverso la musica.

Helbock pizzica con le dita le corde dentro la cassa armonica per rendere la propria esecuzione ancora più incisiva attenuandone il vibrato e la risonanza e ottenendo un effetto solenne e pieno di volume ma allo stesso tempo legnoso e materico perfino sgraziato e del tutto ruvido quasi a rievocare gli spari, le urla, le esplosioni.

Meno solenne e di certo più divertente e svagata la frenetica progressione, ossessiva, scatenata e martellante versione del tema di Superman sparata alla velocità della luce proprio come quella del supereroe.

John Williams cominciò la propria carriera di musicista come pianista jazz nei locali di New York, sognando in grande ma accontentandosi per anni di minimi ingaggi. Per omaggiare quel periodo Hellbock suona “Ask me now” dell’inarrivabile Thelonious Monk a cui il compositore americano si ispirò in quegli anni duri di “gavetta”. Nella versione con il testo cantato la canzone dice piena di rimpianti: “Come vorrei che me lo chiedessi ora, fui vano e bloccato allora, tendenzialmente scortese, vorrei che potessimo tornare indietro nel tempo”.

L’interpretazione di Helbock ha il tradizionale andamento sinusoidale e perfino strascicato e claudicante del genio di Monk come direbbe Paolo Conte “Hesitation…un palombaro nell’ombra”. Anche in questo caso il musicista viennese dimostra di avere la mano parecchio pesante ma il risultato non è certo spiacevole.

Sempre seguendo la medesima ispirazione è la volta di un brano originale sempre dedicato al grande musicista di “Epistrophy”, è “Anonimous Monkoolic” nel quale Helbock gioioso e brillante rivela una grinta quasi inaspettata, sembra quasi la felicità.

“Prova a prendermi” (Escapades, 1 Closing in) sempre di Williams, sempre da un film di Spielberg, sembra quasi una provocazione, un invito a scappare dalla sala da concerto per vivere ad un’altra velocità, naturalmente con la fantasia, ad occhi chiusi e sul filo delle note del pianoforte Fazioli.

Il “furioso” pianista austriaco insiste nel suonare direttamente le corde nella cassa armonica colpendole questa volta con una bacchetta o pizzicandole con un plettro. Non ci si stupisce più di niente, si pensa solamente a godere di quei suoni per quanto a volte bizzarri e perfino sgraziati.

Per non farsi mancare proprio niente, la proposta successiva è stata un’interpretazione di “Purple Rain” di Prince in versione funebre e melodrammatica, perfino ridondante ed eccessiva con richiami al blues più acido e notturno di Chicago. Dice il pianista che con la musica di John Williams si è divertito a riprodurre le articolazioni di una grande orchestra nel breve spazio degli 88 tasti. Ha voluto fare lo stesso con la musica di Prince comprimendo nel pianoforte tutta la forza esplosiva di un ensemble funky e ci è riuscito benissimo per quanto tutto sia sembrato a volte sopra le righe, ma probabilmente era proprio quello l’effetto voluto.

Del tutto inaspettatamente ma di conseguenza si è passati a “Aquelas Coisas Todas” una composizione del chitarrista brasiliano Toninho Horta trascritta e riarrangiata per il pianoforte dallo stesso Helbock. Questa volta per ricreare l’atmosfera carioca, calda e sensuale, il pianista, agendo sulle corde, ha riprodotto il suono del Berimbau, l’evocativo strumento africano a corda battuta che ha seguito gli schiavi dall’Africa al Nuovo Mondo, semplicemente splendido.

Con “Hedwig’s Theme” da “Harry Potter e la pietra filosofale” il pianista austriaco, sempre deciso e irruento, ha dimostrato di essere comunque anche allegro e scanzonato come una trota in un torrente di alta montagna e chi ci vede un accenno alla cristallina opera omonima di Schubert (0p. 1114 D667) ha colto nel segno.

Si è ritornati immediatamente ai temi cupi e drammatici, dopo quello che è sembrato un semplice gioioso intervallo ricreativo, con due brani di grande tensione interpretativa.

Il primo dedicato a Sophie Scholl, che venne ghigliottinata insieme al fratello un’infame mattina del febbraio 1943 nel carcere di Monaco di Baviera perché facente parte dell’organizzazione democratica “Rosa Bianca”, tra le poche ad opporsi al Terzo Reich in Germania. Composto da Helbock, è un altro brano dal solenne incedere come di un ondata di memoria, un ritorno, una rimemorazione, quasi un oscuro senso di colpa metafisico che ci riguarda tutti come diceva Karl Jaspers e forse anche per questo il pianista continua quasi rabbioso a battere sulle corde e sulla tastiera.

Con il secondo brano si ritorna alle composizioni di Williams che, rimanendo a quello che racconta chi lo conosce personalmente, ha un carattere umile e perfino dimesso; quando si trattò di comporre la colonna sonora di “Schindler’s list” disse a Spielberg che era troppo emotivamente fragile per affrontare un impegno così gravoso e che c’erano musicisti molto più bravi ed adatti di lui a compiere l’impresa. Il regista gli rispose secco, sarcastico e ironico: “Si lo so! Ma sono tutti morti”.

Il piano preparato suona come una pendola stonata che batte le ore con un effetto davvero sinistro…alla fine mentre ancora vibrano le ultime notte nel silenzio ispirato ed estatico della Fazioli Concert Hall suona un sacrilego telefonino. Da gran signore Helbock non se la prende e ringrazia il pubblico che reagisce applaudendo, ma l’affronto rimane.

Così si chiude con “Komm lieber Mai und mache”, un lied la cui melodia Wolfgang Amadeus Mozart trasse dal folklore austriaco e nell’interpretazione del pianista diventa una scatenata folle danza popolare da ballare ubriachi di musica su di un prato alla luce della luna, velocissimo e selvaggio.

Gli immancabili bis cominciano con una melodia di taglio espressionista e dolcemente ragtime per continuare e concludersi con una straziante “A Preyer for Peace” sempre di Williams dal film “Munich” di Spielberg che è pacifista a modo suo e per modo di dire.

La richiesta di pace, quella vera, è oggi quanto mai urgente e necessaria. Anche un bel concerto per pianoforte può servire egregiamente a ricordarcelo.

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©

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