Si è aperto finalmente il sipario sull’edizione 2019 del Festival Cameristico organizzato da Associazione Chamber Music. Un’edizione decisamente unica, che in concomitanza con la XX candelina spenta dal Premio Trio di Trieste riporterà alla Sala Ridotto del Teatro Verdi nove tra i vincitori delle passate edizioni.

L’onore dell’apertura è spettata ieri sera al Trio Mondrian, l’ensemble israeliano vincitore del Premio nel 2007. La vittoria è certamente stata una fantastica rampa di lancio: da allora infatti il Trio si è esibito regolarmente in Israele e  in tutta Europa, alternando ai concerti le incisioni discografiche, di cui la prima subito in seguito alla vittoria al Premio. Nel 2008 ha vinto il premio del pubblico al Festival di Bologna e a loro è stato dedicato un lavoro (dal titolo omonimo, “Trio Mondrian”) del noto musicista e compositore italiano Marcello Abbado.

Il ritorno di Ohad Ben-Ari, Daniel Bard e Hila Karni a Trieste era quindi molto atteso e di certo non ha deluso le aspettative. E’ stato possibile immergersi nuovamente nel loro particolarissimo suono, che se da un lato prende come riferimento le geometrie squadrate e coloratissime dell’ultima fase del percorso artistico di Piet Mondrian (da cui il Trio prende il nome) dall’altro sa smussarle e donare loro un’eleganza e una leggerezza che puntano dritte all’animo degli ascoltatori.

Ottimo il programma scelto per il loro ritorno triestino e fortemente sentita la loro interpretazione. Si ha da subito l’impressione che questo sia per loro un concerto molto importante, la loro immersione nei brani è totale. Ovviamente si può pensare subito al semplice effetto nostalgia, in realtà scopriremo alla fine del concerto che il motivo è più complesso.

Si parte con il Trio Phantasie op.63 di Ernst Krenek, opera che ondeggia con grazia tra sonorità romantiche d’ispirazione schubertiana e sperimentalismi novecenteschi. E’ poi la volta di Ludwig Van Beethoven, con quel Trio in Sol maggior op.1 n.2 che ci riporta agli inizi della carriera del grande compositore tedesco. L’Adagio iniziale è in grado di lasciare l’ascoltatore con il fiato sospeso, e tale sensazione si prolunga durante l’Allegro Vivace, col suo tema in sol maggiore presentato dal pianoforte. La tonalità di Mi maggiore esplode nel successivo Largo. Lo Scherzo di impronta moderna e dalle sonorità piene precede un Trio risoluto ma affine allo Scherzo. Si chiude con un Finale galoppante che chiude con spirito gioioso e esuberante.

Altrettanto esuberante il pubblico, che lascia passare diversi secondi di silenzio prima di sciogliersi in un meritato applauso. Ottima tra l’altro l’affluenza di pubblico, con la splendida Sala del Ridotto quasi interamente piena a creare una fantastica cornice a ciò che accade sul palco.

Dopo la pausa è la volta di Brahms, con il Trio in Si maggiore op.8., primo trio per archi e pianoforte verso cui Brahms stesso fu molto critico, rivedendolo e riscrivendolo per ben 34 anni. A differenza della prima parte del concerto, in continua altalena tra momenti più meditativi e altri maggiormente intensi, qui è molto più marcato uno slancio passionale e impetuoso, tipico del giovane Brahms. Da sottolineare l’ottima esecuzione del Trio Mondrian nell’iniziale Allegro con brio, dove il confronto dialettico tra gli strumenti (con il pianoforte a annunciare il tema con dolcezza, il violoncello a elevarlo e infine il violino a farlo librare in aria) funziona perfettamente, eseguito da tutti e tre con quel garbo che permette all’aria nel suo complesso di funzionare appieno senza cadere nel maggior protagonismo di uno degli attori in gioco.

Forte cambio d’atmosfera nello Scherzo, che ricorda a tratti Mendelssohn per i toni misteriosi e oscuri. Efficacissimo il passaggio ai toni malinconici del successivo Adagio, dove torna un’ineccepibile e molto bilanciata conversazione tra il pianoforte (con un tema quasi religioso) e gli archi. Dopo una sezione in cui il violoncello sa mantenere intatta la malinconia creatasi, l’Allegro finale esplode in un susseguirsi di ritmi fantasiosi e in una conclusione burrascosa. Che ha saputo lasciare senza fiato per parecchi secondi il pubblico triestino, prima dei meritatissimi applausi finali.

Applausi che riporta presto sul placo il Trio, per un bis affidato ancora una volta a Brahms. Ed è durante l’introduzione al bis che veniamo a scoprire -dalla voce emozionata di Daniel Bard- ciò che già si era potuto leggere tra le righe per l’intera performance, e cioè che questo concerto è particolarmente importante e sentito per il Trio. La rivelazione ha però un sapore dolceamaro: questo infatti sarà l’ultimo concerto del Trio Mondrian, in un esempio perfetto di “cerchio che si chiude”, che mette il punto esattamente dove tutto era per loro iniziato (la formazione del Trio risale a solo pochi mesi prima della loro partecipazione al Premio Trio di Trieste, nel 2007). Scioglimento -ci rassicurano subito- afferente esclusivamente a differenti progetti musicali e non al rapporto umano tra i tre membri, la cui solida amicizia continuerà.

Sarà forse solo a causa di questa rivelazione ma il bis risulta particolarmente toccante e vibra di un sentimento che sa aleggiare nell’aria anche dopo che l’ultima nota è terminata. E che tra gli applausi sa trasmettere un bel po’ di commozione nel cuore della platea. Quella stessa commozione che muove visibilmente il Trio durante i saluti finali, in particolare Hila Karni, che trattiene a stento le lacrime.

Nonostante la sottile tristezza per questa rivelazione, la serata è stata comunque il migliore inizio possibile per questa particolare edizione del Festival Cameristico: un’ottima performance sul palco ed un pubblico attento e partecipe. Non rimane altro che attendere con l’acquolina in bocca le altre gemme che ci attendono da qui a Maggio, a partire dalla prossima Lunedì 25 febbraio con il Duo Sitkovetsky, vincitore del Premio Trio di Trieste nel 2011.

Luca Valenta / © Instart