È stato sontuoso e speziato il finale della XXXII edizione della rassegna udinese Udin&Jazz che ha proposto eventi qualitativamente di livello altissimo; è stata la migliore come ognuna di tutte le altre che l’hanno preceduta, con una miriade di appuntamenti collaterali davvero interessanti, non ultimo il workshop interattivo per bambini e famiglie per far incontrare i più piccoli con il jazz e farli sognare con le blue notes.

In realtà, queste non sono nemmeno delle novità. Sono decenni ormai che la manifestazione friulana ci ha abituato all’eccellenza e ad una creatività infuocata. Definizioni che calzano a pennello con lo straordinario talento degli Snarky Puppy, la band che oggi, per definizione, rappresenta le nuove forme del jazz contemporaneo sia per la critica, sia per un vasto pubblico di appassionati.

Udin&Jazz 2022 si è chiuso aprendo una finestra sulla realtà e il futuro della musica al motto di “Play Jazz, not War! Per questo “Il nostro mitra deve essere un contrabbasso che spara sulla faccia ciò che pensiamo della vita. Con il suono delle dita si combatte una battaglia che ci porta sulle strade della gente che sa amare…sempre con Gioia e Rivoluzione” non serve esplicitare la citazione, basta solo avere il coraggio di sognare con la musica un paese pieno di gente felice.

Snarky Puppy: Michael League (basso, tastiere) Bill Laurance (tastiere) Jason “JT” Thomas (Batteria) Marcelo Wolonski (percussioni) Justin Stanton (tastiere, Tromba) Michael “Max” Maher (tromba) Cris Bullock (sax, flauto) Bob Lanzetti (chitarra) Zach Brock (violino)

Quasi a fare il paio con le bizze dell’estate africana che stiamo vivendo, era torrida l’atmosfera anche al Teatro Nuovo Giovanni da Udine nella serata finale del festival, nemmeno l’ottimo condizionamento riusciva ad abbassare la temperatura del desiderio di tantissimi appassionati accorsi in massa attratti dal piatto forte della rassegna: gli incredibili Snarky Puppy di Michael League e Bill Laurence.

Già vista al festival in varie formazioni, la band ha creato attorno a se un autentico culto tra gli stretti appassionati, vecchi e barbogi, come chi scrive, ma anche fortunatamente tra giovani e giovanissimi di più diversa formazione e gusto musicale.

Come si è potuto notare in sala, il pubblico degli Snarky Puppy è davvero trasversale e multi-generazionale. Ci vorrebbe uno studio di sociologia della musica per capire come un’orchestra che fa musica tutt’altro che scontata e commerciale sia riuscita a convincere una così larga fetta di spettatori.

Non sembra nemmeno essere un fenomeno social, una bolla di notorietà nata così per caso, è proprio un felice mistero della musica che ogni tanto sa stupirci ancora in un mare di proposte banali e urlate, tra giovinastri che biascicano slogan da corsia dei detersivi e anziani decerebrati con la sindrome di Peter Pan.

Vedremo come va a finire, per ora, quello che riempie il cuore è vedere tanti giovani, nuovi appassionati di qualcosa che ancora possiamo chiamare jazz che per definizione è in eterna mutazione proprio come le esigenze e i gusti delle generazioni che si susseguono.

Prima dell’esibizione c’è stato un breve siparietto introduttivo a due tra il patron del festival Giancarlo Velliscig e Max de Tomassi giornalista radiofonico “romano de Udine” in cui si sono raccontate, con ironia e un pizzico di giustificato orgoglio, le peripezie e i mirabili traguardi raggiunti da questa edizione di autentica rinascita dopo gli ultimi anni di “confino” che, in un modo o nell’altro, tutti abbiamo subito.

Non è poco aver progettato, svolto e concluso XXXII edizioni per un festival che, sostanzialmente, si regge sulle proprie gambe senza compromessi con i vari potentati e senza chiedere elemosine o concedere prebende. In un paese di gente con il cappello in mano e gli occhi bassi è una vera rarità trovare ancora qualcuno che mantiene la stazione eretta. Gli antichi dicevano che gli esseri umani sono in grado di ragionare, distinguendosi dagli animali, proprio perché camminano sui due piedi, con la schiena dritta, a testa alta, guardando davanti a se. Non tutti se lo possono permettere.

Dopo tutta questa positiva retorica che ogni tanto ci vuole, torniamo agli Snarky Puppy che hanno attaccato e proseguito la loro esibizione con qualcosa che nessuno si aspettava, perfettamente nel loro stile: quasi tutti brani nuovi fiammanti dell’album appena pubblicato, praticamente sconosciuti al pubblico, proprio come si faceva ai bei tempi gloriosi della musica “vera” nella quale i tour non servivano solo a promuovere ulteriormente e a celebrare le glorie di una band ma a fare qualcosa di creativamente nuovo suscitando l’autentico interesse del pubblico, attratto dal piacere della musica e non dal bel faccino o dal brano che ha le maggiori visualizzazioni su spotfy.

Per dare una prospettive potremmo azzardarci a dire che oggi il gruppo sviluppa qualcosa che sembra fusion progressiva ma solo perché ci piacciono tanto le definizioni approssimative.

Nell’ensemble il violino elettro-acustico di Brock, il flicorno di Maher con l’aggiunta del flauto traverso di Bullock ingentiliscono la presenza tribale e arcana delle fantastiche percussioni in una sovrapposizione feconda di influenze musicali tra nord e sud del mondo. E’ una schematizzazione un po’ brutale, ormai tutto è interconnesso, ma è tanto per capirci.

Già con il secondo brano veniamo confusi da effetti speciali sonori, stravaganti e perfino minacciosi come di chi fugge in un incubo nel quale è rincorso da chi scappa a propria volta. Inquietudini e angosce che si risolvono in un più lieto risveglio a sonorità groovy e gustose condite con un sapido assolo di chitarra di Lanzetti.

Si continua a funkeggiare ancora con un arrangiamento degno del migliore Quincy Jones. Molto convincente il contributo della sezione fiati sempre “arrabbiati” al punto giusto che sostengono il suono brillante e stellare del tutto orchestrale perfettamente equilibrato. E’ visibile il divertimento del gruppo, suonando si sorridono e si fanno le boccacce, non è così frequente da vedere.

Ci danno dentro davvero e lo fanno dichiaratamente per onorare l’ultima serata del festival. Il secondo tastierista è anche un ottimo trombettista e nell’insieme i suoni valvolari delle tastiere, l’incedere del basso, l’utilizzo largo e ricco delle pedaliere a volte regalano un atmosfera molto Motown granulosa e translucida dai colori saturi, pastosi che prevedono sempre precipitarsi dei ritmi e poi il seguire di un movimento largo andante e sereno. Inoltre, virano spesso verso atmosfere del tutto esotiche e orientaleggianti, o meglio, “turchesche” visti i trascorsi e le frequentazioni del leader.

Se è possibile una critica a questi fantastici ragazzoni è che quello che suonano finisce per essere talmente perfetto e levigato da perdere in spontaneità. Ci si trova sbalzati in una realtà musicale in cui tutto miracolosamente funziona come un orologio, vederli suonare è perfino spiazzante, viene da chiedersi dove sia il trucco.

Gli Snarky Puppy sono nei fatti un collettivo di ingegni dove ognuno dei membri contribuisce alla riuscita corale e sinergica del progetto che è solo coordinato dalla coppia di ferro Lawrence/League. I brani in scaletta sono composti e accreditati da quasi tutti i componenti. Anche da un punto di vista triviale questo significa che le royalties vengono distribuite in modo equo.

Questo egalitarismo si nota subito, come si diceva, dalla serenità e dalla simpatia che l’ensemble comunica al pubblico scambiandosi sorrisi e sguardi d’intesa in un clima di reciproca condivisione e divertimento. Anche nelle combo jazz più affermate i componenti spesso non sono altro che turnisti letteralmente affittati per i tour, niente più che degli impiegati della musica. L’impressione che danno League e i suoi è proprio il contrario, sembrano un’impresa di famiglia o meglio una cooperativa sociale delle note dispari.

I nove sul palcoscenico di questa particolare formazione variabile sembrano avere una creatività inesauribile che sembra riassumere in se, non sembri un’esagerazione ma solo un’iperbole, una tradizione orchestrale e compositiva che ha in se tutto ciò che è compreso tra Fletcher Henderson, Frank Zappa e oltre. Per capire quanto è ancora vasto l’orizzonte di questo gruppo di “simpatici animaletti” bastava sentire l’assolo al tamburello del percussionista che sfocia in una carezzevole melodia eseguita dal flauto traverso per poi condurci fino alla Trumpet Battle intrapresa dai due labiofoni fino a quella tra i due percussionisti, vera selvaggia furia in un tornado di ritmi.

Avviandosi al finale Michael League ringrazia sentitamente più volte il festival e i suoi organizzatori per l’accoglienza professionale e familiare allo stesso tempo e per le belle cene con porzioni di lasagne grandi come la sua testa (testuale). Era visibilmente soddisfatto come tutti gli altri dell’incontenibile, entusiastica accoglienza del pubblico che non ha mai smesso di ritmare i brani o applaudire fino a spellarsi le mani. E’ stato incredibile sentire tutto il teatro che “veniva giù” vocalizzando e ritmando uno dei brani, “Pappa rappa rappa pa pa” nella vera e propria lingua del “Pappo e del dindi” di dantesca memoria. Un concerto così fornisce talmente tante good vibrations a musicisti e pubblico che dovrebbe essere considerato come fonte di energia alternativa come un parco fotovoltaico o una selva di pale eoliche.

Immaginare ciò che sarà ancora possibile nel nostro futuro è uno dei precisi compiti dell’arte e in special modo della musica che ci proietta nelle prospettive a venire senza rimpianti o nostalgie di sorta ma con la precisa consapevolezza che solo l’arte vera ci consente di guardare avanti anche oltre noi stessi nella permanenza nel tempo, dell’essenza e dell’esistenza.

Ars Longa, Vita brevis, fantastici Snarky Puppy!

Scaletta: Portal, East Bay, Bet, Broken Arrow, Keep it on your Mind, Honiara, Cliroy, Tio macaco, Belmont, Shofukan, Xavi

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©

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